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“Non è facile raccontare una donna come Dalila Nesci” da un’intervista di Pino Nano

L’intervista è stata pubblicata qui in occasione della mia adesione al Sindacato dei giornalisti Figec Cisal di Carlo Parisi https://www.giornalistitalia.it/dalila-nesci-con-figec-cisal-ne-avevamo-bisogno/

E’ un’intervista profonda, per la quale ringrazio la sensibilità di Pino Nano che, in questi lunghi anni, non si fermato all’apparenza e ai pregiudizi nei miei confronti. Leggendola capirete qualcosa in più di me e del mio impegno politico su tutto il territorio italiano e con a cuore il nostro Sud, la bella Calabria.

Vi riporto di seguito il TESTO INTEGRALE.

Dalila Nesci con Figec Cisal: “Ne avevamo bisogno”
Pino Nano – 19 Settembre 2023 Calabria, Comunicazione, Donne, Economia & Finanza, Europa, Lavoro & Previdenza, Le interviste di Giornalisti Italia, Legalità, Sindacato, Vite da Oscar

Dalila Nesci
ROMA – «In tutti questi anni mi sono occupata di tutela del risparmio privato, ho lottato contro l’usura bancaria, a favore dello scorrimento delle graduatorie delle Forze dell’Ordine, per una migliore gestione dei rifiuti in Calabria; ho contribuito a difendere le associazioni basate sul territorio, spesso minacciate dalla criminalità organizzata, e alla salvaguardia dell’ambiente, insieme alle tante espressioni della società civile calabrese.
Ho lottato, e continuo a farlo, perché il diritto alla salute in Calabria possa essere pienamente garantito ad ogni cittadino.

Ho ideato e finanziato con 227 milioni euro, per conto del Governo Draghi, il Cis Calabria – Svelare Bellezza».


Non è facile raccontare una donna come Dalila Nesci, avvocato e giornalista calabrese, fino al 12 ottobre 2022 deputato e donna di Governo. È stata sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il Sud e la Coesione territoriale, componente della Commissione Parlamentare Antimafia e della Commissione Affari Sociali e Sanità. Poi, nella XVII Legislatura, componente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, della Commissione Affari Sociali e Sanità, del Comitato Parlamentare per i procedimenti di accusa, della Giunta per le Autorizzazioni a procedere, vicepresidente della Commissione Politiche dell’UE.
A 26 anni entra in Parlamento e dieci anni dopo rimane una delle donne protagoniste della politica italiana. In Calabria lo è ancora di più.
«All’età di 26 anni sono stata eletta in Calabria parlamentare della Repubblica e portavoce del M5S. In quegli anni, ho ricoperto la carica di vicepresidente della XIV Commissione Politiche dell’Unione Europea e sono stata membro della XII Commissione Affari Sociali, della Commissione Parlamentare per l’indirizzo generale e vigilanza dei servizi radiotelevisivi, nel Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa e nella Giunta per le autorizzazioni. Da allora, senza sosta, ho lavorato per il risanamento economico, culturale, politico e sanitario della mia terra, senza mai perdere di vista l’orizzonte nazionale».

Dalila Nesci con Nicola Gratteri, già procuratore aggiunto di Reggio Calabria, procuratore di Catanzaro e neo procuratore generale del Tribunale di Napoli
– Nata a Tropea 37 anni fa, Dalila Nesci, laureata in Giurisprudenza all’Università Mediterranea di Reggio Calabria…
«Della mia terra custodisco le bellezze. Combatto, invece, contro abusi e apparati che causano dipendenza dalla politica e nuova emigrazione, quella dei più giovani. A partire dal 2009 mi sono attivata nel MeetUp di Reggio Calabria e ho curato la presentazione, nel Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, della mostra “All’ombra dell’Unità d’Italia” con l’intento di approfondire la storia dell’unificazione nazionale e per il superamento della questione meridionale. Da parlamentare non ho mai taciuto sulla gestione mafiosa di sanità e ambiente in Calabria, depositando corrispondenti denunce in tutte le Procure.

Sono stata la promotrice, a Reggio Calabria, dell’iniziativa pubblica “La notte che spazza il sistema”, a seguito dell’uscita dell’ordinanza di custodia cautelare relativa all’operazione “Mammasantissima”».


Un giorno, quando qualcuno scriverà la vera storia del Movimento Cinque Stelle, non potrà non raccontare anche la storia personale di questa “guerrigliera” piena di passione civile e di entusiasmo per la vita, che in Calabria ha profondamente segnato l’evoluzione, la crescita e la maturità del Movimento…
«Sono convinta che, solo facendo proprie le parole guerriere di pace, democrazia e rappresentatività, potremo organizzare azioni coerenti davvero evoluzionarie, che mirino, prima di tutto, a salvaguardare l’integrità della persona umana, nel quadro di una società, nazionale e di una nuova politica europea, più solida e coesa».
Una leonessa, protagonista di mille battaglie politiche importanti in tutto il Mezzogiorno d’Italia. Intelligenza viva, donna padrona del mondo e di se stessa, intellettuale vivace poliedrica e di grande fascino. A tratti aggressiva, a tratti dolcissima, come tutte le donne del Sud.

«Traendo spunto anche dall’attività del dott. Roberto Di Bella, ex presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, volta a strappare i figli degli ‘ndranghetisti da un destino viceversa ineluttabile, ho presentato una proposta di legge intitolata “Liberi di Scegliere” che prevede l’introduzione di specifici provvedimenti per la protezione e l’assistenza dei minorenni in pericolo appartenenti a famiglie mafiose. Ritengo, infatti, doveroso introdurre misure a tutela dei minorenni che subiscono nel corso della vita un vero e proprio indottrinamento mafioso attraverso il quale, anche se non imputabili, vengono coinvolti in attività delittuose o subiscono violenze. Lo strumento normativo per cui mi sono battuta è molto chiaro: bisogna prevedere la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale di coloro che appartengono ad organizzazioni malavitose di tipo mafioso allorquando si riscontri un concreto pregiudizio all’integrità psico-fisica dei minori».
Oggi Dalila Nesci non è più parlamentare. Lei ci sorride sopra, ma questo è il prezzo che si paga quando si fanno scelte di libertà e di indipendenza come la sua.

«Ho percorso, solo in Calabria, circa 200 mila chilometri con la mia auto, ho donato alla collettività oltre 230mila euro della mia indennità e ho scritto più di tremila atti tra interrogazioni, esposti, emendamenti, diffide e note formali. Ho presentato, inoltre, diverse proposte di legge, tra cui una per istituire la Commissione Parlamentare d’inchiesta sui crimini bancari, oggi operativa; un’altra, chiamata “Elezioni Pulite”, approvata alla Camera, contro il voto di scambio e i brogli elettorali; una per indagare sulla sicurezza dei punti nascita, visto il numero di bambini e le madri morti di parto in Calabria; una per recuperare le centinaia di milioni di euro che la sanità calabrese deve ricevere dallo Stato».
Ma oggi lei non è più neanche parte del Movimento Cinque Stelle. Se n’è andata via sbattendo la porta insieme a Luigi Di Maio, e quando lasciò il Movimento sapeva benissimo che le avrebbero fatto pagare tutto questo. Ma lei, tosta come una roccia, non ha esitato un solo attimo a ribellarsi e lasciare, dopo la decisione di Giuseppe Conte di “picconare il Governo Draghi”.

Dalila Nesci a Montecitorio
Degna figlia della storica rupe di Tropea. Anima e roccia, pietra dura e magia dei tramonti lì di fronte.
Oggi per lei è una stagione di silenzio, una sorta di “anno sabbatico”, una pausa di riflessione, forse anche di studio e di analisi, per decisioni future di cui certamente sentiremo parlare molto presto. La cerchiamo proprio per questo.
– Buongiorno onorevole…
«Mi dai del lei? Siamo prima di tutto colleghi e non posso esimermi dal dichiarare grande stima per il tuo percorso professionale».

Dalila Nesci
– Intanto, ti ringrazio. Partiamo allora da un tema che ti è sempre stato molto caro, la libertà e il pluralismo dell’informazione. Da sempre ti batti per il pluralismo dell’informazione: ci credi ancora?
«In un mondo globalizzato che chiama l’umanità a decifrare e affrontare sfide nuove di portata planetaria, ne abbiamo di certo bisogno. Pluralismo in politica e di voci intellettuali. Le nostre comunità abbisognano di chiavi interpretative della realtà che cambia in modo repentino».
– Come nasce la tua passione per il giornalismo e a che condizioni accetteresti di farlo oggi?

«Sin da giovanissima ero curiosa di indagare la realtà del territorio calabrese dal punto di vista di giovane donna del Sud. Sono nata a Tropea e mi sono laureata in giurisprudenza a Reggio Calabria, fiera di poter creare valore nella mia regione. Ho sempre voluto dare un contributo al dibattito culturale e politico.
Confesso, per la prima volta, che non mi abbandona mai il sogno di vedere nascere una testata giornalistica calabrese di ispirazione cattolica, in cui poter lavorare, in team con giornalisti giovani e di esperienza, per raccontare il mondo del volontariato e dell’impegno nel sociale».
– Che ruolo credi possa ancora avere il giornalismo al servizio della Calabria?
«Il giornalismo non deve interpretare ruoli. Se commettiamo la leggerezza di degradare il giornalismo a “missioni” o interpretazioni del momento, si fanno danni enormi. Il giornalista può avere a disposizione, ad esempio, strumenti nuovi dati dalla modernità o essere esperto in determinati argomenti, ma la sua etica e professionalità sono la precondizione per esser definito tale. E aggiungo che, se da un lato, registro in Calabria, la carenza di confronti culturali e politici mediatici permanenti o comunque alternativi alla modalità e ai tempi delle tribuna elettorale, dall’altro lato, in qualità di politico, non posso dimenticare che la prima responsabilità, nella mancanza di consessi di dibattito plurale, è da imputare agli ambienti di partito che sono evanescenti».
– Credi che la narrazione della Calabria sui grandi giornali sia oggi quella giusta, o vada invece “rivista”?
«Per la sua storia millenaria, la Calabria non ha bisogno di essere narrata o sceneggiata, ma rappresentata. In molti contesti la Calabresità non emerge a dovere e spesso fatica ad incarnarsi in pensiero mediatico o in personalità capaci di divenire punto di riferimento consolidato per l’opinione pubblica. Il giornalismo dovrebbe raccontare con continuità, dalla Calabria, i suoi rappresentanti del mondo culturale, artistico, politico, imprenditoriale e giovanile, anche quelli emergenti, rinunciando – qualche volta – alla dinamica da hype. Purtroppo, negli ultimi 15 anni, ho vissuto, osservato e denunciato dinamiche poco professionali e coni d’ombra mediatici creati ad hoc, che rallentano il processo di emancipazione culturale delle nostre comunità calabresi».
– Da anni non fai che ripetere “guai a non credere nel pluralismo e nel ruolo dell’informazione”. Fino a un anno fa il giornalismo aveva il sindacato unico. Ora è nata la Figec Cisal a cui ti sei iscritta tra i primi volendo essere tra i soci fondatori. Immagino che ritieni tutto questo un valore aggiunto al dibattito in corso nel Paese e per il mondo del giornalismo italiano…

«Lo ritengo molto utile, ne avevamo bisogno! Mi sono iscritta alla Figec per rilanciare la mia partecipazione e attenzione al mondo del giornalismo che è in continua evoluzione. Sono pronta a mettere a disposizione il mio percorso di esperienza nelle relazioni istituzionali. Dobbiamo tutti unire le forze: la categoria dei giornalisti merita più garanzie e dignità nel lavoro».
– Come imagini il futuro della Figec Cisal?
«Fondamentale, ne avevamo bisogno! E spero possa essere, sempre, punto di riferimento per il mondo istituzionale a favore della categoria dei giornalisti, che merita più garanzie e dignità nel lavoro».
– Posso chiederti cosa farai da grande?
«Lo vedremo insieme. Lo prometto a tutti i colleghi della Figec e a tutti i lettori di Giornalisti Italia. Lo vedrete e lo vedrà la gente a cui ho dedicato i miei anni migliori e le mie passioni più forti. Guai a fermarsi, o peggio ancora, a vivere guardandosi indietro». (giornalistitalia.it)

Pino Nano

IL CERINO IN MANO DELLA SANITÀ CALABRESE, MA ORA SUPERIAMO IL DEBITO

Il Direttore Roberto Napoletano de "Il Quotidiano del Sud, l'altra voce dell'Italia" ha dato spazio al mio pensiero sulla situazione della sanità in Calabria in seguito alla recente sentenza della Corte Costituzionale. Ecco il testo pubblicato sabato 31 luglio 2021.

E’ questa la sensazione che tante volte ho provato quando denunciavo i misfatti della politica e della governance manageriale sulla Sanità calabrese. Un cerino che veniva passato di mano in mano per evitare di prendere posizione, per minimizzare le questioni, per delegittimare professionisti impegnati o cittadini indignati. Condivido il suo fervore, Direttore, sull’affaire commissariamento della Sanità calabrese. Lo condivido perchè è anche il mio. E nonostante le difficoltà, le narrazioni stereotipate che mai giungevano all’origine delle responsabilità e certe solitudini incontrate nel mio percorso politico, non ho mai inteso cedere al disimpegno. Ho incrociato pavidità e presunte ragioni di Stato, nel tempo, però, passi in avanti ne sono stati fatti e c’è chi ha avuto il coraggio di accendere un faro sulla Sanità Calabrese: l’ex Ministra Giulia Grillo ha avviato un tentativo, il Ministro Roberto Speranza non si è tirato indietro nell’affrontare questa sfida ormai incancrenita dal tempo e dalle occasioni perdute della politica regionale.

La sentenza n. 168 del 2021, della Corte Costituzionale ha rilevato profili di incostituzionalità delle norme di recente emanate al fine di supportare l’azione commissariale di risanamento della Sanità in Calabria. Sentenza che come esponente del governo, non intendo leggere con gli occhi dello speculatore politico. La Consulta ha innanzitutto dichiarato l’illegittimità costituzionale del “decreto Calabria” nella parte in cui non prevede che al prevalente fabbisogno della struttura commissariale provveda direttamente lo Stato ma si prevede che il supporto della Struttura Commissariale sia affidato al personale degli uffici regionali e di fatto al Dipartimento della Salute. Dipartimento che, in questi dieci anni, è stato via via smantellato da ogni giunta regionale senza soluzione di continuità. E’ pur vero che, consapevoli di queste difficoltà, nei “decreti Calabria” è stato sempre previsto il supporto di Agenas. Sono però anch’io convinta che si debba fare di più. Per questo saluto la sentenza della Consulta come grande opportunità per ogni livello istituzionale. La Corte Costituzionale se da un lato riconosce il ruolo delle autonomie territoriali sul tema sanità, dall’altro conferma che spetta allo Stato un ruolo di “garante di ultima istanza” che esercita attraverso il potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione. Ad ogni modo, credo che in visione di un futuro ripensamento del Titolo V della Costituzione, dobbiamo approntare una seria rivisitazione dell’istituto del commissariamento e dei piani di rientro che, così come normato oggi, non risponde più alle logiche e politiche economiche dei nostri tempi in cui, finalmente, si torna ad investire abbandonando definitivamente la stagione dell’austerity.

Mi preme sottolineare che l’illegittimità del commissariamento reiterato era stato da me denunciato a più riprese, anche con atti di sindacato ispettivo nella scorsa legislatura, ma c’è un elemento sottaciuto da molti che invece va esplicitato. Nella mia interpellanza urgente discussa il 27 novembre 2015, grazie alla puntuale risposta dell’allora Sottosegretario di Stato alla Salute, Vito De Filippo, fu chiara -come un lampo di luce nella notte calabrese- la responsabilità della Regione Calabria: “Non risulta a questo Ministero che gli organi istituzionali della Regione Calabria abbiano, né nel 2013 né ora nel 2015, manifestato l’intenzione di presentare un nuovo piano di rientro”. L’amara verità, dunque, è che, per molti anni, il commissariamento è stato utilizzato come alibi di rimpallo politico delle responsabilità.

Anche se riconosco, senza cedere a semplificazioni illusorie, che insistono oggettive difficoltà che hanno reso e rendono tuttora difficile la presa in carico del problema a tutto tondo. Subito dopo l’elezione dell’allora Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, infatti, avevo proposto di fare fronte comune e riscrivere insieme un nuovo piano di rientro per chiedere ai Ministeri vigilanti l’uscita dal Commissariamento. Non se ne fece nulla, le condizioni politiche non erano ancora favorevoli ad una cooperazione in tal senso. Avviai, così, un’opposizione dai banchi del Parlamento senza sconti, pur in assenza di rappresentanti regionali del M5S in Calabria. Tengo bene a mente, infatti, gli imboscati di allora e gli opportunisti di oggi.

Ad ogni modo, ciò che muove tuttora il mio operato politico è la difesa per una parità di accesso al diritto alla salute in Calabria affinché si interrompa l’indicibile emigrazione sanitaria, anche per mancata vigilanza sui rimborsi sanitari verso strutture fuori Regione.

Oggi più che mai, come unica rappresentante calabrese del Governo Draghi, vedo nitidamente la possibilità di un riscatto politico trasversale e la voglia di collaborare per la ricognizione del debito ed il superamento del Commissariamento.
Per stralciare ogni posizione debitoria del passato, serve una ricognizione definitiva del pregresso e sancire una nuova gestione libera da errori e contiguità delinquenziali sui quali opererà la magistratura contabile e penale.
Inoltre, sulle difficoltà delle regioni meridionali e quei criteri ingiusti che a partire dal FSN hanno ulteriormente deteriorato i Livelli Essenziali di Assistenza, c’è un impegno concreto del Ministro Speranza ed anche una rinnovata attenzione da parte del Ministero di Economia e Finanza.

E proprio perché non sempre il tempo a disposizione è stato utilizzato in maniera efficace, credo che adesso si debbano fare passi ben ponderati ma decisivi nel superamento del debito storico della sanità calabrese. Perché, a partire dalla prossima legge di bilancio, non avremo più il tempo di tornare indietro a correggere quanto fatto. Speranza c’è, lo Stato pure. Sono convinta che la rinascita dell’Italia parte da Sud e la Calabria dovrà diventare, finalmente, l’emblema delle sfide possibili.

La fanfara dei carabinieri a Tropea: legalità e musica

Pochi giorni fa, nella bella #Tropea, ho partecipato allo splendido concerto della Fanfara del 12° Reggimento Carabinieri Sicilia, voluto dal Generale Pietro Salsano Comandante della Legione Carabinieri Calabria, in accordo con il Prefetto Paolo Giovanni Grieco ed i Commissari prefettizi che oggi guidano il Comune di Tropea.

Un bel messaggio di unità tra varie parti dello Stato che operano in questo territorio.

Occasione suggestiva per avvicinare l’Arma dei Carabinieri alla popolazione e quindi i cittadini alle Istituzioni.

Una serata di musica e legalità per meditare, insieme, sull’importanza di avere cura della nostra comunità, dei luoghi che abitiamo e delle nostre istituzioni democratiche.

Riflessioni sul recente passato, guardando avanti

L’Italia è un Paese bellissimo ma con una classe dirigente politica da ricostruire ed in qualche caso formare. Per troppo tempo i giovani sono stati scartati, delegittimati, derisi nei partiti. Giovani e giovanissimi scoraggiati dal mondo degli adulti che consiglia loro di espatriare o nel migliore delle ipotesi di “farsi i fatti propri” per non farli partecipare alla vita pubblica o politica.

La politica in Italia va’ ad “ondate”, nel 2013 io stessa ho fatto parte dell’ondata 5 stelle e dopo 10 anni la deriva culturale in cui rischiamo di piombare è molto chiara.

Con l’allora Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e la formazione politica “Impegno Civico”, non abbiamo voluto offrire alibi o lasciato spazio a chi, invece, DI FATTO stava aiutando la destra nella caduta del Governo Draghi rompendo il fronte progressista comune. Conte, appunto, come altri leader politici caratterizzato da un narcisismo pericolosissimo per chi rappresenta le istituzioni. Le loro decisioni politiche partono dal proprio ego riferito, il bene del Paese è solo uno specchietto per le allodole che, consapevolmente o meno, inseguono verso il luccichio per poi schiantarsi.

I traditori dell’Italia non sono giovani donne e giovani uomini come me e Di Maio che hanno scelto di rimanere FEDELI ALLO STATO, in un momento così drammatico con la guerra alle porte dell’Europa e la crisi economica ed energetica galoppante. La politica è servizio, oltre ad essere una scienza.

Ad aver tradito l’Italia è Salvini che ha buttato giù un Governo autorevole e che da sempre spinge verso politiche produttive a favore del Nord: come primo punto nel programma ha quello di fare la legge sulle autonomie differenziate. Legge che con Draghi abbiamo sempre sventato nel corso del Governo.

Ad aver tradito l’Italia è stata in parte Forza Italia che quando la slavina – per mano di Conte – è cominciata a venire giù, ha colto l’occasione per associarsi al carro della Meloni. Forza Italia SOLO in Calabria tiene ancora numeri alti per via dell’astensionismo altissimo: SOLO il 40% dei Calabresi si reca alle urne. Quindi forzisti non vantatevene troppo.

Ad aver tradito l’Italia è Conte che, come i cuculi, invece di fare la fatica di costruirsi il proprio nido, rubano quello degli altri; lui ha opportunisticamente preso un contenitore – che ci era costato sacrifici – per farlo diventare un partito autoreferenziale. Ovviamente qui faccio MEA CULPA, non bisognava dargli le chiavi di casa senza neppure tenersi un doppione per poterlo fermare. Mi riferisco a quando ha barattato un governo autorevole, come quello con Draghi, per inseguire con le sue allodole la campagna elettorale e la ribalta mediatica (unica cosa che gli interessa).
Conte ha tradito tutti i patti: quello con il Governo Draghi, quello con Letta e quello in Sicilia. Ed ora, correndo da solo, non fa altro che disperdere i voti favorendo così le destre. Stesso schema con le dovute differenziazioni di Renzi e Calenda.

Concludo con una certezza: se arriveranno tempi bui in cui l’Italia sarà di nuovo isolata in Europa e subirà ancor di più la povertà, IO SO DI AVERE FATTO IL MASSIMO ED ANCHE DI PIÙ CONTRO LA CAVALCATA DELLA PROPAGANDA POLITICA DI SALVINI, CONTE e altri.

Mi spiace per chi mi voleva o mi vuole fuori dalla politica, Ma la politica è servizio, è una vocazione ed io non ho assicurata alcuna poltrona: IO DIFENDO IL SUD! E sempre lo farò, con i mezzi che avrò.

Il SUD deve essere artefice del proprio destino e pretendere quanto gli spetta attraverso giuste battaglie politiche di perequazione. Sono sicura che la forzatura dell’autonomia differenziata – portata avanti dal Governo Meloni – si scioglierà come neve al sole. Ed in questo il referendum abrogativo, con l’attenzione civico-politica che sta generando, può trasformarsi in una buona notizia per il futuro del Paese.

Sono stata eletta nel Direttivo dell’ANDC

Si è svolto pochi giorni fa a Roma, il Consiglio Direttivo dell’Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani (ANDC), che ha confermato Presidente Lucio D’Ubaldo.

Sono stata eletta tra i membri del Consiglio direttivo, con l’aggiunta dell’incarico di Responsabile per la stampa.

Durante l’incontro è stato, tra l’latro, ribadito che l’ANDC è chiamata a proporsi come soggetto propulsivo di un nuovo indirizzo politico, “per promuovere l’affermazione dei programmi d’azione civile e politica, ispirati alla dottrina sociale cristiana” (per come stabilisce l’Art. 1 dello Statuto). Occorre pertanto lavorare alla declinazione del messaggio degasperiano sul “centro che marcia verso sinistra” (avendo lo statista trentino, dopo la rottura con i comunisti, composto i suoi governi con i partiti laici e socialisti, non solo con l’ala moderata costituita dai liberali). Il richiamo è quello di tornare alle origini e riscoprire il dinamismo insito nella dialettica tra democrazia e cristianesimo.

L’ambizione – è stato riaffermato – è quella di favorire strategicamente la creazione di un “centro allargato” sulla scia della tradizione più incisiva della politica italiana, dall’Unità ad oggi (connubio Cavour-Rattazzi, convergenze parlamentari alla Giolitti, centrismo degasperiano, centro-sinistra di Moro).

Nuovo organigramma dell’ANDC

Lucio D’Ubaldo (Presidente), Carla Ciocci, Genny Di Bert, Gabriele Papini, Francesco Amendola (Vice Presidenti), Rita Padovano (Segretario generale), Gianni Baratta (Tesoriere).

Composizione del Consiglio Direttivo

Membri eletti: Francesco Amendola, Giovanni Baratta, Carla Ciocci, Eugenio De Rosa, Genny Di Bert, Lucio D’Ubaldo, Dalila Nesci, Rita Padovano, Gabriele Papini, Giuseppe Sangiorgi.

Membri di diritto: Giulio Alfano, Antonello Assogna, Anton Giulio Ciocci, Maurizio Eufemi, Salvatore Turano, Angelo Sanza.

Altri incarichi: Dalila Nesci (Responsabile per la stampa), Antonello Assogna (Responsabile per la formazione), Salvatore Turano (Responsabile comunicazione, sito web e social media).

Il PNRR per risultare efficace ha bisogno del Sud e vi spiego perché

di Dalila Nesci, deputata e Sottosegretaria al Ministero del Sud

Per guardare il mondo da una prospettiva nuova, può aiutare l’immagine dell’Appeso nelle carte dei Tarocchi. Di chi con sorriso quasi estatico sa che, appeso al soffitto e a testa in giù, il mondo rovesciato ha più senso di quello già “visto”, ma mai guardato prima da una prospettiva differente.

È per questo motivo che immagino vividamente e credo che sia il nuovo piano di investimenti del Recovery Plan ad avere bisogno del Sud, e non viceversa.

Il Mezzogiorno infatti non è un’astrazione geografica, un racconto storico da relegare a ricordo, né un principio ispiratore per rivendicazioni vittimistiche. No. Il Mezzogiorno d’Italia rappresenta il potenziale inespresso del nostro Paese che, a causa di scelte politiche ed economiche miopi, ha finito per essere condannato a cabina di regia delle mafie e serbatoio di stereotipi cui attinge il main stream populista per rafforzare la cultura della rassegnazione e del fatalismo da animare ogni qual volta si tratti di immaginare nuove prospettive economico-produttive, sociali e culturali in grado di imprimere cambiamenti di rotta sostanziali. Se il PNRR non riuscirà ad emancipare -attivando la leva dello sviluppo economico- le regioni del Sud come Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna, allora non avrà assolto alla sua funzione di ricostruzione e riequilibrio dalla crisi economica ultra decennale, drammaticamente acuita dalla pandemia. In caso di fallimento, il Paese intero, dimentico troppe volte del Mezzogiorno, avrebbe perso l’ennesima occasione. Ma come fare quindi per vincere la scommessa del Recovery Plan in Italia? Nessun azzardo. Sono due le direttrici su cui puntare: capacità di programmazione della spesa e rafforzamento della pubblica amministrazione nei territori. La capacità di programmazione e quindi di spesa sarà fondamentale per il regolamento dei bandi di gara. Le cui linee discenderanno dalle componenti strutturali che definiscono le missioni del PNRR, e dovranno tenere conto di vincoli territoriali. Nel rafforzamento tecnico  della PA delle Regioni ed enti locali, ci giocheremo tutto sull’immissione di nuove professionalità e nella capacità dell’Agenzia della coesione territoriale del Ministero del Sud di coordinare sapientemente in maniera operativa le nuove assunzioni destinate al Mezzogiorno d’Italia. Il Dipartimento delle Politiche di Coesione da troppo tempo registra dati che rilevano scarsa capacità di programmazione e spesa, anche per il coordinamento scarsamente efficace con le Regioni. Credo molto nella tenacia della Ministra Mara Carfagna che grazie alla sua esperienza potrà imprimere grossi risultati, come già ottenuto per le risorse destinate al Sud nel PNRR. Da Sottosegretaria non farò mai mancare il mio sostegno, credendo nella capacità di mediazione che il femminile riesce ad imprimere. Ecco perché chi parla di Sud non può dimenticare l’impegno concreto delle forze politiche nelle prossime tornate elettorali amministrative e regionali. La capacità di investire a Sud parte dalla serietà del progetti politico-amministrativi messi in campo nelle competizioni elettorali. Eviti di parlare di Sud chi non vuole impegnarsi nel Governo di città,  regioni e aree locali che si trovano con la loro specificità al centro del Mediterraneo, e che saranno cruciali per la transizione ecologica e culturale cui ormai puntiamo all’unisono come tutta l’Unione Europea. Le opere nel PNRR, da concludere entro il 2026, dipenderanno dalla capacità delle governance di Regioni ed enti locali di integrare gli investimenti del Recovery Plan con quelli ordinari nazionali ed europei. Solo con riguardo alla Calabria ben l’80% dei comuni si trova nelle zone periferiche dove vive la metà dei cittadini. Già adesso è a rischio la sopravvivenza stesse dei territori locali e delle piccole comunità: il rilancio avrebbe infatti impatti sostanziali non solo per l’economia regionale calabrese, ma come fattore generale di riequilibrio e laboratorio di innovazione dei nuovi assetti sociali che parte dal Sud e che si irradia per la prima volta verso il resto del Paese.

Penso a l’impellenza di individuare progetti innovativi di rigenerazione urbana e di risanamento ambientale, di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico-culturale, ad azioni in grado di ripensare le strutture civili e amministrative insieme agli spazi di aggregazione e vivibilità delle nostre comunità (come le unioni dei comuni, che vanno favorite). Penso al rafforzamento della sanità territoriale, che torni ad essere capillare nella vicinanza alle comunità, anche quelle ritenute più marginali, grazie alla riconversione di vecchi presidi ospedalieri, prima strumentalizzati dal rigonfiamento parassitario della sanità “ospedal-centrica” e poi abbandonati per favorire speculazioni. La pandemia ci insegna che occorre ripristinare una sanità pubblica forte, diffusa e distribuita territorialmente, con  l’applicazione rigorosa dei parametri relativi ai LEP (livelli essenziali delle prestazioni). Penso all’indifferibile  potenziamento delle reti e dei servizi: infrastrutture, reti idriche, digitalizzazione, nuovo lavoro, servizi per donne, minori e fasce di disagio sociale, vivibilità delle aree interne, mobilità verde, filiere produttive di qualità e produzioni bio. Occorre puntare in modo strategico alla  riqualificazione del patrimonio edilizio e all’inversione della tendenza al consumo di suolo, per raggiungere l’obiettivo della salvaguardia delle risorsi irripetibili di ambiente, natura e paesaggio e finalmente giungere all’obiettivo di impedire il consumo di suolo. Un definitivo rovesciamento di prospettiva, come dichiaravo in premessa, nell’ottica di garantire  integrazione-rigenerazione-riequilibrio, partendo proprio dal tessuto socio produttivo delle aree più significative e più critiche della Calabria. Esaltandone i fattori di vantaggio, sia in termini di identità culturale, ma soprattutto per quantità e qualità delle risorse primarie ancora sottoutilizzate a disposizione della regione (aria, acqua, paesaggio, boschi, agricoltura, filiere bio nell’agroalimentare e beni storici e culturali).

Chi parla di Sud non può dimenticare l’impegno concreto delle forze politiche nelle prossime tornate elettorali amministrative e regionali. Le notizie di questi giorni sull’accordo tra le forze di Governo per il Comune di Napoli suscita entusiasmo. Auspico con tutto il mio impegno che anche sulla Calabria si possa seguire analogo percorso. Il cuore pulsante della Calabria ha bisogno di ripartire con nuovo scatto.

Per rifondare una durevole prospettiva di sviluppo e di riequilibrio del Sud occorre poi collegarsi con le correnti calde di un nuovo meridionalismo, che parta da conoscenze locali e da competenze accertate di livello europeo e internazionale, dal rafforzamento dei diritti di cittadinanza, che sono argine civile alla prepotenza delle mafie. La rinascita del mercato in aree di crisi, in tutte le regioni del Mezzogiorno, deve coincidere con il potenziamento delle strutture culturali e civili, con investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella formazione permanente, nella digitalizzazione, offrendo opportunità nuove al patrimonio di creatività e all’immaginazione che da sempre sono la forza della cultura e della tradizione di civiltà e di bellezza che il Sud custodisce da secoli. Solo così fermeremo l’emorragia di energie giovani che impoverisce la vita delle regioni e i centri minori del Sud. La visione deve essere centrata sul paradigma produttivo della green economy dalle politiche europee che negli ultimi anni sono state rafforzate dal piano Next generation Eu, a cui anche l’Italia con l’invio a Bruxelles del Recovery plan darà seguito. La priorità del Recovery Plan al Sud non è il trionfo di una società espropriata del futuro, burocratizzata e riconfermata nei ritardi e nell’immobilismo, ma è invece la ripresa di un circuito virtuoso di sviluppo e di progresso civile. Solo così  potremo avviare, mobilitando le forze migliori della società, la perequazione necessaria e ridurre le disuguaglianze e promuovere la coesione all’interno del nostro paese. L’obiettivo fondamentale stavolta è garantire al Sud l’effettivo godimento dei fondamentali diritti costitutivi della cittadinanza: lavoro, salute, istruzione, mobilità.